Ieri sera guardavo "Uomini che odiano le donne", il recente adattamento cinematografico del giallo di Stieg Larsson. Che io abbia un autistico occhio per i dettagli superflui ormai è proverbiale ma non capita spesso che mi facciano ridere tanto.
E' un film dove la tensione si taglia col coltello, come la nebbia ma con più agitazione. Ormai è trascorsa un'ora, sedici minuti e diciotto secondi; segui, ascolti ed elabori il ragionamento che sotto i tuoi occhi si sta piano piano dispiegando come un complesso origami.
Passa un secondo.
Poi un altro.
Poi un altro.
L'inquadratura cambia. E' lì che devo stoppare. Elena mi chiede che c'è, io le dico che devo tornare un attimo indietro, mentre inizio a ridere, perché le devo far vedere una cosa.
Indietro di tre secondi. Ecco, attenta: un'ora, sedici minuti, diciotto secondi. La mano si sposta e scopre pian piano una foto. Un secondo, la foto appare in tutta la sua chiarezza. Eccola:
Quella è VULVIA! Ahahahahahah! Non ci credo, è Vulvia.
Elena si mette a ridere come una pazza, poi mi guarda, scuote la testa e si rassegna. Come si fa a guardare un film così? Voglio dire, temendo che da un momento all'altro spunti fuori dicendo "Lo sapevate? L'assassino è il maggiordomo. Assassini classici, su Rieduchèscional Channel".
E' una condanna, lo so.
Un giorno capirò come mai guardo ogni cosa in secondo piano tralasciando quelle di fronte a me; i particolari superflui, le cose che nessuno nota. Te che, mentre la tua collega al banco del forno serve la gente, rispondi al telefono pulendoti le orecchie col dito; te che in auto al semaforo ti scaccoli allegramente come se nessuno potesse vederti, tranne me nello specchietto retrovisore; a volte è una pena.
Restituitemi i primi piani. Preferisco non sapere.
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