martedì 11 giugno 2013

Piombino città di confine

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Viviamo da sempre in una città di confine. Piombino è l’ultimo comune a sud della provincia di Livorno e Torre Mozza costituisce il confine con la provincia di Grosseto. Non parliamo con l’accento livornese ma al contempo la nostra calata è già molto diversa da come parlano a Follonica, nei modi di dire, nelle interiezioni, nella pronuncia stessa delle C e dei GL per esempio.


Geologicamente rappresentiamo, col promontorio, una propaggine continentale dell’Appennino, distaccatasi dalla catena principale in tempi remoti e differenziatasi poi per successive formazioni vulcaniche, quelle che hanno dato origine al promontorio di Punta Falcone. Botanicamente veniamo spesso citati come il punto più a nord in cui cresca spontaneamente la Chamaerops Humilis, comunemente conosciuta come “palma nana” (eccettuate alcune minuscole enclave liguri).
Ma se foste d’estate a Baratti, a godervi un bagno ristoratore in una giornata afosa, sapreste dire in che mare vi state bagnando?
La risposta, per quanto strana possa apparire, è “nel Mar Ligure”.
Punta Falcone, infatti, rappresenta geomorfologicamente parlando lo spartiacque tra i due bacini del Mar Ligure e del Mar Tirreno. Quest’ultimo che ha come ingresso a nord il Canale di Piombino, e il primo circoscritto idealmente dalla costa ligure, la Corsica, la costa settentrionale dell’Elba e la costa toscana a nord della nostra città.
Certo, nell’uso comune si tende a chiamare Tirreno tutto il mare fino a Bocca di Magra, ed è innegabile che il principale quotidiano labronico si chiami “Il Tirreno”, ma si tratta in effetti di una convenzione comune che tende a limitare alle coste liguri i confini del mare omonimo.
La prossima volta che dovrete scegliere dove andare al mare ricordatelo: avrete l’imbarazzo della scelta. 

mercoledì 5 giugno 2013

Storie di biciclette

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A volte le cose più belle arrivano inaspettatamente. Qualche tempo fa mi giunge in mailbox un messaggio di Enrico Fossati, fino ad allora a me totalmente ignoto, e il messaggio parla della mia bici. Lui, mi racconta, sa dirmi di più su Peloso, il telaista di Alessandria che ha costruito il mio telaio e perfino su Brian "The Baron" Smith.
Già.
Perché cercando notizie sul web in merito alla Peloso e alla sua storia non si trova quasi nulla se non un post di Mike Barry in cui si descrive questo misterioso ciclista britannico e se ne raccontano le gesta in sella proprio a bici Peloso.
Un breve scambio di email con Enrico ha tirato fuori dal baule della storia tutta una serie di fatti che altrimenti sarebbero andati perduti con gli ultimi che li hanno vissuti e che pertanto voglio ora raccontarvi con le parole esatte che Enrico ha voluto scrivere per me. E' una bella storia. Eccovela.
Alessandro,
poter raccontare queste cose mi emoziona. Da dove inizio?

La farò lunga: spero di non annoiarti.

Premetto che già alcuni mesi fa, cercando con Google il nome Peloso ho visto il tuo messaggio sul ritrovamento della vecchia bici. Quando poi mi sono imbattuto nel Blog di Mike Barry sono quasi svenuto: conosco molto bene le bici Peloso e soprattutto conoscevo molto bene “Baron Smith”.

Dunque, nel 69 a 17 anni, mi scoppia la passione della bici da corsa. A casa mia non è che ne girassero tanti, ma mio papà, visti anche gli ottimi risultati a scuola, nella primavera di quell'anno mi da il permesso di andare da Mario Peloso a prendere le misure per la mia nuova bici. Un sogno!

Allora frequentavo l'Istituto per ragionieri in via Trotti ad Alessandria e spesso, nella pausa pranzo facevo un salto in Via Milano, a sbavare, davanti alla vetrina di Mario Peloso, larga quanto una bici. Per un periodo ne ha esposto una rossa che mi faceva letteralmente andare in estasi: con i mozzi record a flange alte da pista e tubolari di seta.

Spesso Peloso non alzava nemmeno la saracinesca perché non voleva rompiballe in negozio: di lavoro ne aveva fin sopra i capelli. Era alto, pelato e grassottello, parlava solo il dialetto alessandrino ma si intendeva a meraviglia con i clienti Russi, Americani, Belgi, Francesi, Inglesi, ecc. che ho spesso incontrato in negozio: una volta ci ho persino incontrato la nazionale dilettanti russa che stava facendosi prendere le misure per ordinare i telai.
Ha fatto telai per Van Stembergen, Kubler ed altri professionisti che non ricordo. Imparò il mestiere alla Maino, una gloriosa firma dell’Alessandrino.

A maggio del 69, Peloso finisce la mia bici e ci accordiamo di vederci una domenica mattina per la regolazione su di me. Alle 9 sono li, mi mette in bici e torno a casa: 35 km da Alessandria a Vignole, senza abbigliamento tecnico, percorsi in un fiato: sulla mia peloso grigio metallizzato con sfumature verdi sul tubo obliquo e piantone sella; guarnitura Campagnolo, pedali Lyotard, mozzi Record Campagnolo, freni Universal, cerchi Nisi, tubolari Clement Criterium, sella Brooks, manubrio TTT.

Da quel giorno, appena potevo, includevo nell’allenamento il negozio di Peloso e me ne stavo ad osservare la costruzione dei telai e l’assemblaggio delle bici. Mario aveva una precisione maniacale: riprendeva in modo brutale il suo operaio Rodolfo, quando assemblava male una ruota o faceva una saldatura non all’altezza.

Finiva le congiunzioni, prima della saldobrasatura come fossero oreficeria. Aveva progettato e fatto da se il banco dima. Aveva un rapporto diretto con Tullio Campagnolo. Ricordo una volta che, rimasto senza parti gli telefonò personalmente e, ogni tanto gli dava pure suggerimenti tecnici.

Con noi ragazzi scherzava sempre ed era prodigo di consigli. Io ero “quel fanciot che studia l’ingles..”

La moglie era un generale della Wermacht. Lavorava in un’altra azienda e di tanto in tanto era in negozio dove stava dietro il banco e teneva la contabilità. La figlia la incontravo all’università di Genova, aveva qualche anno più di me.
Un pomeriggio d’estate del 72, arrivo in negozio per farmi cambiare il cannotto reggisella: da quello in acciaio alla meraviglia Campagnolo a T in alluminio. Mario mi vede e mi dice in dialetto: “..tu che studi l’Inglese, vai di la a parlare con quel ragazzo Inglese che sta montando la sua bicicletta…”.
E io: “ che ci fa un inglese nel suo negozio ad assemblare la sua bici?..”. E Mario, sempre in dialetto..” è così impossibile da soddisfare che ho deciso di mettergli a disposizione tutto e farglielo fare da se…”. E ciò la dice lunga sulle conoscenze tecniche di biciletta del “ragazzo” inglese.

Il laboratorio/negozio aveva la vetrinetta sulla strada ma l’accesso era attraverso uno stretto corridoio che dava su un cortiletto interno in cui erano posizionate le vasche per il decapaggio dei telai appena fatti. Appena entrati nel cortile a sinistra c’era la zona di lavorazione tubi e la saldatura; da questa, scendendo un gradino, si accedeva ad una stanza, con l’illuminazione quasi sempre accesa per via della vetrina chiusa, con il bancone dove si vendevano ricambi di ogni sorta.

Sul cortiletto si affacciavano altre stanze usate per l’assemblaggio di più bici in parallelo che venivano tenute appese a ganci pendenti da corde appese al soffitto. La stanza in fondo fungeva da magazzino ricambi.

In una di queste stanze “Baron Smith” stava assemblando la sua nuova Peloso blu. Non era più proprio un ragazzo aveva 32 anni ed in realtà si chiamava Brian Smith. La moglie era al mare ad Alassio. Ogni anno, dalla fine degli anni 50, vendeva a Londra la bici vecchia e con il ricavato veniva ad Alessandria a farsene fare una nuova di misura rigorosamente decisa da lui e che Peloso realizzava scrupolosamente.

Brian aveva conosciuto Peloso alla fine degli anni 50 durante un viaggio che doveva condurlo, con un amico, da Londra alla riviera ligure, ovviamente in bicicletta. Alle porte di Alessandria uno dei due ha un guasto. Non sanno cosa fare, non parlano l’Italiano.
Un buon samaritano li conduce al negozio di Peloso. Mario non ha il ricambio ma lo fa costruire appositamente da un amico e sistema la bicicletta. Brian, mentre aspetta si guarda intorno e si innamora a prima vista di quelle bici di qualità, aspetto e tecnica infinitamente superiore alla migliore bicicletta inglese dell’epoca.
I due decidono di non proseguire il viaggio per la riviera e si fermano ad Alessandria facendo amicizia con corridori del luogo e partecipando ai loro allenamenti.

E io, che dico a Brian? Nel mio scarno inglese gli dico che l’anno successivo mi sarebbe piaciuto andare in Inghilterra ad imparare l’inglese. Lui, senza esitazione mi dice: “..se vieni in Inghilterra vieni a casa mia…”. Ma come, penso io, questo mi ha appena visto e già mi invita a casa sua? Diffidenti come eravamo noi piemontesi all’epoca, mi pareva impossibile.

L’anno dopo in primavera gli scrivo che, finiti gli esami, sarei andato in Inghilterra pregandolo di suggerirmi qualche college per studiare ed una sistemazione. Senza esitazione mi risponde dicendomi: “ non c’è storia, dimenticati del college perché con noi l’inglese lo impari addirittura meglio e come sistemazione c’è casa mia..”

A metà luglio del 73 prendo un B 727 alla Malpensa e volo a Londra Luton. Brian mi viene a prendere e mi porta a casa sua: primo viaggio da solo e per di più all’estero, chissà dove finirò, penso. Dopo un paio d’ore di viaggio giungiamo a casa sua nel Surrey e mi presenta sua moglie Jenny. Era domenica sera e mi dicono: “..qua c’è la chiave di casa, noi durante la settimana andiamo al lavoro, ah, vieni di la..e mi mostrano una vecchia Peloso grigio metallizzata… “questa è per te, vacci dove vuoi, e qui c’è una carta geografica…”.

Da quell’anno siamo sempre rimasti in contatto. Lui veniva in Italia ed io lo accompagnavo ad assistere qualche gara. Io andavo spesso a Londra per lavoro ed andavo a trovarli. L’anno scorso la moglie e la figlia sono venuti a trovarci, lui no perché ci ha lasciati il 16/1/2011.

Io del soprannome “The Baron”, attribuitogli perché da corridore si presentava sempre alla gare con un’attrezzatura ed un abbigliamento impeccabili, da nobile, non sapevo nulla. L’ho appreso quando la moglie mi ha chiesto di fargli fare una placca in granito, rigorosamente italiano, lui amava tutto quanto era tricolore, da posizionare sulla tomba.
Quando le ho chiesto: “cosa ci faccio incidere? “..oltre alla data di nascita e morte, fagli incidere “The Baron”…” Ed io “..perché?..” E lei mi ha raccontato la storia.

Scrivo tutto ciò perché Brian non venga dimenticato: mi ha cambiato la vita: mi ha trasmesso entusiasmo, mi ha insegnato ad andare in bici, mi ha aiutato molto con l’inglese che sarebbe poi stato determinante nella mia carriera.

Beh, potrei continuare per pagine e pagine ma chiudo qua: ora hai capito perché Baron Smith ha consigliato ad un anglo canadese di andare a farsi fare la bici da Peloso ad Alessandria risultando, come sempre, molto convincente?

Spero di non averti annoiato e ti saluto, ah…dimenticavo, la mia vecchia Peloso è nella nostra vecchia casa in Piemonte ed io, nonostante i capelli bianchi, fin che posso, vado ancora in bici da corsa, ma ora ..su una Bianchi ed una Cinelli.

Tanti saluti.

Enrico
Come dicevo all'inizio, a volte le cose più belle arrivano inaspettate. Fate tesoro delle vostre storie, e raccontatele agli altri. E' importante che non dimentichiamo.
E mentre ancora cerco notizie su chi fosse in origine il possessore della mia Peloso, il misterioso Del Vivo il cui nome è punzonato sul collarino del canotto reggisella, mi rallegro di averla sistemata e di farla ancora girare in strada. Anzi, sapete una cosa?
Esco.
Ho un appuntamento con un'anziana signora.

lunedì 3 giugno 2013

Honorine la faceva così

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Honorine la faceva così. Stesa su un letto di finocchio selvatico, come per farla stare comoda, nemmeno si vedesse che era morta. E quando decideva di metterne una in forno quasi sempre era perché sarebbe passato Fabio. Allora ci voleva un pesce speciale, una palamita che viva non era ma che avrebbe potuto esserlo, tanto era fresca. Nessun trucco, nessun accorgimento speciale, nessun condimento segreto. Il limone nella pancia, uno di quelli del vaso grande, più per tenerle aperto il ventre e farla cuocere bene che per reali esigenze d'aroma. Il segreto, l'unico segreto di quel pesce era la franchezza. Quello che vedevi era la verità, né più né meno. Quella schiettezza che Fabio stesso aveva sempre apprezzato; a dire il vero per lui mangiarlo quel pesce era quasi un atto di autocannibalismo. Non se ne sarebbe mai reso conto, perché Honorine sapeva come presentargli la cena e fare in modo che pensasse ad altro, che distogliesse lo sguardo da tutti quei morti ammazzati e dallo schifo degli ultimi mesi. Ma lui era quella palamita; momentaneamente disteso su un letto di finocchietto morbido, perché non sentisse tutto il dolore di ciò che intorno a lui urlava disperatamente.

martedì 28 maggio 2013

Piombinese inside

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martedì 14 maggio 2013

Grassroots Straps

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Quando giri senza il carter con la catena esposta su una bella guarnitura da 49 è pressoché inevitabile che i tuoi pantaloni, specie la gamba destra, si impiglino o si sporchino irrimediabilmente. A Elena successe di agganciarli tra catena e corona, traforandoli allegramente per poi strapparli in un brandello penzolante. Sarà per questo che quando le ho chiesto di cucirmi degli strap per tenerli fermi non ha esitato a farmeli. E così, con una bella fascia doppia di tessuto per tovaglie e due generose toppe di velcro, ora ho questo nuovo indispensabile accessorio che mi accompagnerà finché il caldo non si farà tanto fastidioso da costringermi ai bermuda.
Certo, non ci farò le tweed ride come dice Marco ma questi quadretti arancioni stile picnic hanno un non so che di terribilmente agricolo. Grassroots ride, ecco cosa faccio io. Una fissa agricola, coi pantaloni puliti, però!

lunedì 13 maggio 2013

Primavera a Piombino

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In genere quando arriva la primavera a Piombino tutti gli appassionati di fotografia fanno un giro al Falcone e postano a raffica foto su un po' tutti i social network. Io non l'ho mai fatto (né ho intenzione di farlo) ma ora che vivo in Versilia un po' mi dispiace di non potermi fare un giro la sera. Così, visto che ero tornato un solo giorno per sistemare cose di lavoro, mi sono concesso un'ora del mercoledì mattina, il giorno della patrona, per trovare un Falcone pressoché deserto e in piena fioritura. Tornerò a giugno, ma per fare il bagno! Nel frattempo ecco qualche foto.











lunedì 6 maggio 2013

Voglia di indiano

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Ci sono quei giorni in cui ti prende una voglia irrefrenabile di mangiare indiano; quando si combina con la voglia di cucinarlo e col tempo di farlo finalmente ti levi la soddisfazione.
Ieri sera, per esempio.
Curry di pollo marinato nello yogurt. Lo yogurt è fatto in casa col latte non pastorizzato, lo prepariamo per la colazione ma ne facciamo un chilo per volta quindi non manca mai.
Ceci ammollati dal secco e lessati in casa.
Hummus di ceci con la menta del balcone; ok non è indiano ma era già in frigo :-)
Basmati cotto nella sua acqua. Prima però lo tosto nel wok per aumentare quella fragranza di noccioline che ha naturalmente. Il wok è di ferro, non quelle schifezze antiaderenti che si vedono in giro, ed è condizionato a mano con l'olio e la pazienza. La cottura del riso per accompagnamento, oltre a impiegare pochissima acqua e a non disperdere nulla del riso nelle scolature, ha l'innegabile vantaggio di consumare pochissimo gas visto che lo faccio bollire per soli due minuti.
Naan ai semi di finocchio, rinfrescanti e croccanti. Non avevo lievito quindi li ho fatti gonfiare un po' con un cucchiaio di yogurt nell'impasto.
Peperoncino. Potrebbe forse mancare? C'è del Cayenna tostato, quello scuro, e del Naga. Sono entrambi autoprodotti. La polvere di Naga è micidiale, ma buonissima.
E qui, prima di chiudere, faccio la mia personale considerazione sul curry: non comprate mai, dico mai quello piccante. Nella migliore delle ipotesi l'avranno reso rosso e appena piccante mescolandoci paprika e una buona dose di peperoncino di piccantezza medio-bassa e di scarsa qualità. Perché? Semplice: perché non possono permettersi di immettere sul mercato un curry troppo piccante col rischio di non venderlo affatto. Visto che in genere i peperoncini più aromatici sono anche i più piccanti, state pur certi che non li useranno.
Quindi, tenetelo a mente: il curry compratelo dolce e non avrete acquistato polvere di peperoncino appena aromatizzata pagandola dieci volte il suo valore.
Buon appetito!