giovedì 3 maggio 2012
lunedì 23 aprile 2012
The art of urban sketching (and writing!)
Che fossi una sorta di cane da refusi lo sapevo bene. Capita molto spesso che mi salti all'occhio un refuso di una sola lettera in un testo di tremila battute prima ancora di aver capito di cosa tratti il testo stesso. E' più forte di me, lo vedo e basta.
Forse dovevo fare il correttore di bozze, chissà, ma quello che mi è capitato stavolta fa ridere.
Sono da qualche tempo il felice possessore di un bel libro intitioato "The art of Urban Sketching", una sorta di viaggio intorno al mondo attraverso gli schizzi degli artisti di ogni località. Stavo beatamente "visitando" Sheffield attraverso i bei disegni dell'illustratrice inglese Lynne Chapman quando, alla seconda pagina, qualcosa mi balza all'occhio. Ecco il disegno.
Lo vedete anche voi?
Manca una L.
Fosse solo quello non sarebbe nulla; è che purtroppo questo trasforma irrimediabilmente la scritta "Bagni Pubblici" in un'esilarante "Bagni Pubici" come se fosse ua sorta di ritrovo termale pieno di bidet...!
Ho scritto a Lynne che mi ha confessato con una risata di essere stato il primo in diciotto mesi, lei compresa, ad accorgersi dell'errore. E pensare che questo disegno è sul suo sito, sul libro e persino su Flickr. Anzi, la cosa l'ha divertita tanto che ha voluto postare un articolo sul suo blog.
Chiusa la parentesi scherzosa vi invito davvero di cuore a leggervi il libro, farvi un giro sul sito e sul blog di Lynne Chapman e poi magari prendere un foglio di carta e una penna e mettervi a disegnare. E' divertente, rilassante, aiuta in modo incredibile a sviluppare attenzione ai dettagli e concentrazione e inoltre, beh, c'è tutto un mondo di buffi tipi come voi là fuori che sta disegnando qualcosa, in giro, e sarà felice di scambiare due chiacchiere.
E' un po' che lo faccio, ora sta a me sottoporre all'esame degli altri i miei errori. Aspettatevi qualche schizzo, prossimamente.
E' un po' che lo faccio, ora sta a me sottoporre all'esame degli altri i miei errori. Aspettatevi qualche schizzo, prossimamente.
venerdì 6 aprile 2012
Rhodia pad
Rhodia pad.
Come potrei vivere senza?
E' la dependance del mio cervello, l'espansione che mi permette di non impazzire.
O forse sono già pazzo, e il blocchetto Rhodia ne è l'inconfutabile testimonianza.
Blocco nuovo, blocco vecchio. Dopo mesi e mesi diventa così.
Ma come si fa a vivere senza un Rhodia n.11? Legatura essenziale, carta Clairefontaine (la migliore del mondo, su questo non si discute) e vedo che in queste nuove versioni c'è anche il marchio PEFC per lo sviluppo forestale sostenibile.
Metteteci insieme un lapis Palomino.
Ecco: la vita vi sorride.
Come potrei vivere senza?
E' la dependance del mio cervello, l'espansione che mi permette di non impazzire.
O forse sono già pazzo, e il blocchetto Rhodia ne è l'inconfutabile testimonianza.
Blocco nuovo, blocco vecchio. Dopo mesi e mesi diventa così.
Ma come si fa a vivere senza un Rhodia n.11? Legatura essenziale, carta Clairefontaine (la migliore del mondo, su questo non si discute) e vedo che in queste nuove versioni c'è anche il marchio PEFC per lo sviluppo forestale sostenibile.
Metteteci insieme un lapis Palomino.
Ecco: la vita vi sorride.
mercoledì 21 marzo 2012
Erica Mou - È
Le recensioni devono essere oneste, e in tutta sincerità quando ho sentito nominare Erica Mou ascoltando distrattamente il Festival di Sanremo mentre mi preparavo la cena ho pensato "Ma questa che cazzo di nome ha?".
Perché il problema è che se si è distratti, ogni diversione dal normale corso delle cose, dai volti, le forme e i suoni consueti, appare come strana e difficilmente si apprezza ciò che sfugge dall'abituale.
Ringrazio ancora il cielo di aver prestato una briciola in più di attenzione.
Il pezzo di Sanremo, Nella vasca da bagno del tempo, coraggiosamente presentato con un approccio ormai inconsueto (ovvero da seduta e con la chitarra in braccio) già si faceva notare per qualcosa di diverso. No, non diverso come certe pagliacciate viste in festival passati - mi sovvengono il Vaffanculo e la Bella Stronza di Masini, il piccione di Povia, senza scomodare troppo Marcella Bella con "Uomo Bastardo" scritto sul culo con le paillettes - ma diverso perché c'era qualcosa, qualche tono delicato che riusciva a trasmettere un messaggio, una sensazione.
Come? Trasmettere? A Sanremo? Ma scherziamo?
Il pezzo, lo ammetto, mi ha fatto posare il coltello sul tagliere per farsi ascoltare. Alla fine, rivedendo perfino la mia posizione su quel "Mou" che iniziava a suonarmi dolcemente provenzale, il pensiero è stato che forse non tutto era perduto, in questo festival. Insomma, che culo aver ascoltato Sanremo per l'unico quarto d'ora piacevole, mi sono detto.
Poi la cena ha avuto la meglio - è ovvio, i tagliolini saltati in padella hanno sempre la meglio, specie su Sanremo - ho spento la tv e la settimana è trascorsa.
Il lunedì successivo scopro di non aver intuito male: Erica Mou ha vinto il premio della critica e quello della sala stampa. Gli unici significativi, tra l'altro.
Per me è Erica Mou che ha vinto Sanremo.
Perché il problema è che se si è distratti, ogni diversione dal normale corso delle cose, dai volti, le forme e i suoni consueti, appare come strana e difficilmente si apprezza ciò che sfugge dall'abituale.
Ringrazio ancora il cielo di aver prestato una briciola in più di attenzione.
Il pezzo di Sanremo, Nella vasca da bagno del tempo, coraggiosamente presentato con un approccio ormai inconsueto (ovvero da seduta e con la chitarra in braccio) già si faceva notare per qualcosa di diverso. No, non diverso come certe pagliacciate viste in festival passati - mi sovvengono il Vaffanculo e la Bella Stronza di Masini, il piccione di Povia, senza scomodare troppo Marcella Bella con "Uomo Bastardo" scritto sul culo con le paillettes - ma diverso perché c'era qualcosa, qualche tono delicato che riusciva a trasmettere un messaggio, una sensazione.
Come? Trasmettere? A Sanremo? Ma scherziamo?
Il pezzo, lo ammetto, mi ha fatto posare il coltello sul tagliere per farsi ascoltare. Alla fine, rivedendo perfino la mia posizione su quel "Mou" che iniziava a suonarmi dolcemente provenzale, il pensiero è stato che forse non tutto era perduto, in questo festival. Insomma, che culo aver ascoltato Sanremo per l'unico quarto d'ora piacevole, mi sono detto.
Poi la cena ha avuto la meglio - è ovvio, i tagliolini saltati in padella hanno sempre la meglio, specie su Sanremo - ho spento la tv e la settimana è trascorsa.
Il lunedì successivo scopro di non aver intuito male: Erica Mou ha vinto il premio della critica e quello della sala stampa. Gli unici significativi, tra l'altro.
Per me è Erica Mou che ha vinto Sanremo.
E scopro così che è un bel po' che scrive e suona, che si esibisce dal vivo come dovrebbe fare qualsiasi musicista degno di questo nome e che ha prodotto della musica bellissima.
Ascolto pezzi su YouTube, interviste, clip, e quel disco "È" che racchiude in un solo guscio colori, suoni e sapori conosciuti e amati, sopiti o anche appena accennati. Immagini consuete, a volte tanto da farmi pensare di essere stato osservato per tutta una vita.
Perché quando senti qualcuno e pensi con entusiasmo, che so, "Bello, sembra Fossati" e lì ti fermi, la maggior parte delle volte significa o che è un pezzo di Fossati che non conoscevi o che il tipo in questione fa un po' troppo il verso a Fossati. Erica Mou invece catalizza sfumature. Ci senti la prima Carmen Consoli e Meg, Enya, Mario Venuti, Teresa De Sio, gli Üstmamò e perfino Imogen Heap, i Quintorigo, Grace Slick e Newton Faulkner. Ma non si tratta di citazioni, di campionamenti stilistici; sono piuttosto il condimento di brani musicalmente originali affiancati a dei testi che non hanno paura della propria espressività singolare.
Erica Mou è musica nuova.
Il suo disco, ripubblicato con l'aggiunta di Nella vasca da bagno del tempo, è deliziosamente originale, piacevole; è intenso ma con garbo, e lei, perlomeno da quello che affiora dalle interviste, è così impagabilmente normale: una persona reale, che parla, scherza, ride, dialoga come se fosse al bar con un amico. Che bello: un'artista che non recita il ruolo; era un pezzo che non se ne vedeva uno.
Però, più che dirvi di comprare il disco (cosa che mi auguro farete non appena avrete sentito qualcosa in giro), spererei di potervi suggerire di andarla a sentire dal vivo. Cosa che farei volentieri di persona se solo sapessi che è in giro da qualche parte sulla costa toscana.
A nessuno fischiano le orecchie?
Ascolto pezzi su YouTube, interviste, clip, e quel disco "È" che racchiude in un solo guscio colori, suoni e sapori conosciuti e amati, sopiti o anche appena accennati. Immagini consuete, a volte tanto da farmi pensare di essere stato osservato per tutta una vita.
Perché quando senti qualcuno e pensi con entusiasmo, che so, "Bello, sembra Fossati" e lì ti fermi, la maggior parte delle volte significa o che è un pezzo di Fossati che non conoscevi o che il tipo in questione fa un po' troppo il verso a Fossati. Erica Mou invece catalizza sfumature. Ci senti la prima Carmen Consoli e Meg, Enya, Mario Venuti, Teresa De Sio, gli Üstmamò e perfino Imogen Heap, i Quintorigo, Grace Slick e Newton Faulkner. Ma non si tratta di citazioni, di campionamenti stilistici; sono piuttosto il condimento di brani musicalmente originali affiancati a dei testi che non hanno paura della propria espressività singolare.
Erica Mou è musica nuova.
Il suo disco, ripubblicato con l'aggiunta di Nella vasca da bagno del tempo, è deliziosamente originale, piacevole; è intenso ma con garbo, e lei, perlomeno da quello che affiora dalle interviste, è così impagabilmente normale: una persona reale, che parla, scherza, ride, dialoga come se fosse al bar con un amico. Che bello: un'artista che non recita il ruolo; era un pezzo che non se ne vedeva uno.
Però, più che dirvi di comprare il disco (cosa che mi auguro farete non appena avrete sentito qualcosa in giro), spererei di potervi suggerire di andarla a sentire dal vivo. Cosa che farei volentieri di persona se solo sapessi che è in giro da qualche parte sulla costa toscana.
A nessuno fischiano le orecchie?
lunedì 12 marzo 2012
Moules marinières
Sabato ho cucinato i muscoli. Moules marinières, alla francese, nei quali mi guardo bene dal raccontarvi cosa metto. Così, giusto per soddisfazione personale, posso dirvi che l'esperimento di stavolta è stato quello di aggiungere i limoni in salamoia che abbiamo preparato un paio di mesi fa e il risultato non è stato niente male. E poi la foto non mente, credo.
Quando mangio le cozze ripeto tra me e me come un mantra "Non potrò mai essere vegetariano". Non posso. E' uno di quegli alimenti che si fa strada forzatamente attraverso la psicologia delle mie fauci le quali, per quanto potessero un giorno essere scosse e traviate da insulsi moti etici o tentativi di voler bene alle piccole e indifese bestiole, non riuscirebbero se non per una frazione di secondo a resistere all'inesorabile, implacabile, inarrestabile e succulenta avanzata del simpatico mollusco bivalve che, procedendo in formazione compatta e profumata, punterebbe alla mia bocca dritto dalla pentola come un piccolo esercito armato - come tradizione vuole - di un cospicuo quantitativo di appuntite e croccanti frites, ovvero patate fritte.
Ma quello che ha inaspettatamente portato un barlume di luce gioiosa nell'untuoso tegame della mia egoistica passione culinaria è stato scoprire che il Mytilus galloprovincialis, delizioso abitante delle tavole e delle pentole di tutto il Mediterraneo, è annoverato dall'autorevolissima UICN tra le cento specie aliene più dannose del pianeta.
No, fermi lì, non alieno nel senso del Mostro di Vega. Quelli semmai sono i Vegani.
Alieno nel senso che è stato introdotto artificialmente in habitat non suoi, e dannoso nel senso che in tali habitat tende a prendere il sopravvento sulle altre specie, devastandoli.
Bene, prendete le vostre coscienze e mettetele sul tavolo: vogliamo fare qualcosa di concreto per questo benedetto pianeta o no?
Voi, dico voi con la vostra etica perversa, continuate pure a decimare gli organismi che producono l'ossigeno che respiro. Per quel che mi riguarda, c'è una missione da compiere.
A me la pentola!
Quando mangio le cozze ripeto tra me e me come un mantra "Non potrò mai essere vegetariano". Non posso. E' uno di quegli alimenti che si fa strada forzatamente attraverso la psicologia delle mie fauci le quali, per quanto potessero un giorno essere scosse e traviate da insulsi moti etici o tentativi di voler bene alle piccole e indifese bestiole, non riuscirebbero se non per una frazione di secondo a resistere all'inesorabile, implacabile, inarrestabile e succulenta avanzata del simpatico mollusco bivalve che, procedendo in formazione compatta e profumata, punterebbe alla mia bocca dritto dalla pentola come un piccolo esercito armato - come tradizione vuole - di un cospicuo quantitativo di appuntite e croccanti frites, ovvero patate fritte.
Ma quello che ha inaspettatamente portato un barlume di luce gioiosa nell'untuoso tegame della mia egoistica passione culinaria è stato scoprire che il Mytilus galloprovincialis, delizioso abitante delle tavole e delle pentole di tutto il Mediterraneo, è annoverato dall'autorevolissima UICN tra le cento specie aliene più dannose del pianeta.
No, fermi lì, non alieno nel senso del Mostro di Vega. Quelli semmai sono i Vegani.
Alieno nel senso che è stato introdotto artificialmente in habitat non suoi, e dannoso nel senso che in tali habitat tende a prendere il sopravvento sulle altre specie, devastandoli.
Bene, prendete le vostre coscienze e mettetele sul tavolo: vogliamo fare qualcosa di concreto per questo benedetto pianeta o no?
Voi, dico voi con la vostra etica perversa, continuate pure a decimare gli organismi che producono l'ossigeno che respiro. Per quel che mi riguarda, c'è una missione da compiere.
A me la pentola!
sabato 10 marzo 2012
giovedì 8 marzo 2012
Iscriviti a:
Post
(
Atom
)